lunedì 3 febbraio 2020

La tappa torinese del progetto JaguArt di Artissima e Jaguar ha selezionato il giovane artista Luca Arboccò, che esporrà la sua opera "Three Channels" alla galleria Mazzoleni


Si è svolta nella serata di martedì 28 gennaio, presso la concessionaria BiAuto Club di Torino la seconda tappa del progetto artistico JaguArt, ideato da Artissima e Jaguar per supportare l’arte contemporanea emergente; si tratta di un road show in dieci città italiane in stretta collaborazione con le Accademie di Belle Arti pubbliche e private e le gallerie d’arte contemporanea. L'intero progetto coinvolge per la precisione 10 concessionarie Jaguar, 10 gallerie d’arte contemporanea, 10 Accademie di Belle Arti e 10 artisti, con eventi nelle città di Milano, Torino, Bologna, Venezia, Genova, Napoli, Firenze, Brescia, Catania e Roma. Per ogni tappa sono previsti due incontri: uno in concessionaria – in cui viene annunciato il vincitore tra i 5 talenti in gara – e uno presso la galleria madrina – che ospita una presentazione della ricerca dell’artista selezionato.

Nella tappa torinese, la giuria composta da Ilaria Bonacossa, Direttrice di Artissima; Gaspare Luigi Marcone, curatore e Davide Mazzoleni, Direttore della galleria Mazzoleni ha selezionato Luca Arboccò con il lavoro Three Channels (Trompe l'Oeil) “per il carattere pittorico della sua opera, che attraverso la scomposizione cromatica della luce e la sospensione tra bidimensionalità e tridimensionalità apre a orizzonti digitali e onirici. Presentando un lavoro che armonizza pittura e stampa, l’artista apre a una riflessione sui limiti e le possibilità del linguaggio pittorico nella creazione di immagini contemporanee”. Arboccò si è quindi aggiudicato la possibilità di partecipare ad Artissima 2020 in un progetto espositivo collettivo che coinvolgerà i 10 vincitori. Ma prima sarà protagonista di un secondo evento che si terrà l’11 febbraio 2020, dalle ore 18, presso la galleria madrina Mazzoleni, in piazza Solferino 2 a Torino.

Luca Arboccò è nato a Chiavari (Genova) nel 1992. Ha studiato Pittura presso l'Accademia Albertina di Belle Arti a Torino. Vive e lavora a Lipsia. La sua ricerca esplora i limiti e le possibilità del linguaggio pittorico e il ruolo di quest'ultimo nel flusso iconico corrente. Attraverso le sue opere, l’artista mira a esplorare i limiti e le possibilità del linguaggio pittorico e il suo ruolo nel contemporaneo, utilizzando tecniche apparentemente distanti tra loro. Il processo che Luca Arboccò mette in atto è ben rappresentato dalla serie Trompe l’oeil – nome che si rifà al genere di pittura che suscita l’illusione della tridimensionalità - in cui però l’artista declina la pretesa di verosimiglianza suggerita dal titolo, procedendo invece attraverso la scomposizione dell’immagine. Il paesaggio raffigurato nell’opera viene dapprima dipinto dall’artista in bianco e nero, successivamente fotografato e scomposto a computer nei tre canali cromatici di base: ciano, magenta e giallo. Le immagini risultanti sono stampate su pannelli di plexiglass che vengono a loro volta sovrapposti; l’opera oscilla tra pittura e stampa, figurazione e astrazione e rispecchia il tentativo, fallito, dell’uomo di imitare la realtà.

Gli altri giovani talenti protagonisti di questa seconda tappa ospitata dalla concessionaria torinese sono stati: Silvia Cioni, Qipeng Deng, Fe Mitikafe e Alice Visentin, che hanno presentato le seguenti opere:

Silvia Cioni, Il Mausoleo delle Falene, 2019
Silvia Cioni è affascinata dal fenomeno del progresso tecnologico, in cui sempre più
velocemente e sempre più spesso l’incessante accumulo d’immagini dettano il ritmo e lo stile del contemporaneo. Nelle sue opere l’artista sperimenta e crea mondi appartenenti a un futuro, non troppo lontano, in cui la tecnologia e l’immagine digitale prendono il sopravvento sulla realtà, i sentimenti e le emozioni.
Nell’opera Il Mausoleo delle Falene, Cioni ricostruisce una scultura esoterica, un totem digitale sulla cui cima spicca un televisore a tubo catodico con lo schermo rivolto verso il basso. Dei suoni provenienti dalla struttura e una piccola fessura invitano il pubblico ad avvicinarsi per indagare più a fondo la strana natura dell’opera. All’interno, una proiezione surreale ottenuta dal riflesso dello schermo del televisore su di una superfice oleosa stranisce e al contempo seduce lo spettatore. Come le falene sono attratte dalla luce, la seduzione in cui l’artista intrappola il pubblico rispecchia il fascino con cui i nuovi media incantano gli utenti.


Qipeng Deng, Nido di carta (autoprotezione fallita), 2019
Nelle sue opere Qipeng Deng indaga la condizione della natura umana, costantemente relazionata e influenzata dagli altri. Attraverso installazioni poetiche e delicate, l’artista scardina la costante razionalizzazione che l’uomo applica alle cose, regalando allo spettatore uno sguardo diverso sul mondo, più intimo e introspettivo. L’opera Nido di carta (autoprotezione fallita) è fragile e preziosa quanto un nido nascosto. Fini striscioline di carta, sulle quali risaltano degli ideogrammi cinesi, ripresi da libri significativi per l’artista, compongono un nido che sboccia al centro dell’installazione. Come tanti ramoscelli ordinatamente disposti, le eleganti striscioline di carta racchiudono e raccontano la conoscenza dell’artista, una consapevolezza di sé che lo tutela dagli altri e dall’esterno. Se da un lato l’artista si sente protetto all’interno del mondo che si è minuziosamente costruito, dall’altro riconosce l’impossibilità di essere impermeabile all’ambiente che lo circonda. Il filo bianco che serpentina e gravita attorno al nido simboleggia le possibili relazioni a cui l’individuo è sottoposto, nonché la possibilità che il nido ne venga avvolto e distrutto.

Fe Mitikafe, Akamanakakusamana Act 0, 2018
Fe Mitikafe, nickname utilizzato dall’artista a partire dal 2006, utilizza nelle sue opere i dispositivi digitali per indagare il ruolo della tecnologia nel contemporaneo, creando nuove possibilità di dialogo tra essere umano, arte e web. Grazie alle infinite possibilità espressive del digitale, l’artista esplora e altera la propria identità, per indagarne gli aspetti più personali. Le fotografie realizzate da Fe Mitikafe rappresentano un’intima possibilità per mostrarsi nel web; fruibili solo online oppure diffuse attraverso dispositivi tecnologici, le sue fotografie evidenziano l’immaterialità dei corpi che immortala e la facilità con la quale possano essere distorti virtualmente. L’opera Akamanakakusamana Act 0 è costituita da quattro mini tablet contenenti quattro parti diverse della stessa foto, impossibili però da far combaciare tra loro. Il fruitore è invitato a modificare l’opera stessa, creando una combinazione differente. Costruendo un’immagine sempre singolare, l’artista pone l’accento sulla possibilità del digitale di modificare la nostra immagine e la realtà.

Alice Visentin, La Mamma, 2019
L’artista utilizza la pittura e il disegno come pratiche principali; su tela, la tecnica a pittura ad olio e pastelli secchi è quella che predilige, riprendendo la tradizione pittorica italiana e la sua palette di colori. I personaggi creati da Alice Visentin sono figure impassibili, imponenti nelle loro dimensioni, i cui corpi si mescolano a tratti allo sfondo in un rapporto con l’ambiente vegetale circostante, hanno volti ieratici e saggi, indossano vestiti che si fondono con la loro pelle e che raffigurano a loro volta altre narrazioni. I soggetti provengono dalle letture dell’artista che, affascinata dalle loro storie, li riporta su tela come fossero i custodi di un sapere prezioso. Dopo una lunga ricerca sulle comunità montane piemontesi, che rappresentano le origini dell’artista, anche i “gruppi" e le "bande" sono diventate figure ricorrenti nella sua ricerca. Come nell’opera La mamma, molti lavori evidenziano un concetto fondamentale per l’artista: la collettività, capace di innescare forme rinnovate di conoscenza, condivisione, e concepita come forma alternativa di famiglia.


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