Con
La TERZA
RISONANZA,
la GAM
di
Torino prosegue, nel mese di ottobre 2025, il suo percorso di
indagine
sui linguaggi dell’arte,
articolando un nuovo nucleo tematico che esplora l’incontro tra
incanto,
sogno e inquietudine.
L’incanto a cui qui si fa riferimento non è mai pacificato né puramente estetico: si alimenta di ambiguità, di slittamenti percettivi, di quelle crepe sottili che si aprono nella superficie del reale e ne svelano il lato più fragile, misterioso o perturbante.
La TERZA RISONANZA si intreccia con la collezione storica della GAM, grazie a un accurato lavoro di selezione e accostamento. Come ogni volta le opere del passato entrano in dialogo con quelle contemporanee, attivando connessioni temporali e concettuali inedite, e rafforzando l’idea di una continuità dinamica tra memoria e presente, tra sedimentazione e risonanza.
Le mostre che compongono questa Risonanza - Notti. Cinque secoli di stelle, sogni, pleniluni, Elisabetta Di Maggio. Frangibile; Linda Fregni Nagler. Anger Pleasure Fear e Lothar Baumgarten: Culture Nature - offrono esperienze visive e sensoriali in cui la fragilità dei materiali, l’uso della luce e dell’ombra, l’ambiguità e la rivelazione delle immagini, conducono il pubblico in un paesaggio sconosciuto, poetico e perturbante.
In un tempo segnato da incertezze, precarietà e da narrazioni dominanti, i temi delle mostre proposte si pongono invece ai margini, preferiscono la notte per sfuggire a ogni rigidità interpretativa. Non offrono risposte né verità assolute, ma propongono esperienze che si insinuano, che evocano, che dischiudono. Utilizzano materiali fragili, immateriali, effimeri, riscoprono immagini perdute, adottano linguaggi capaci di attivare memorie personali e collettive. La loro forza non risiede nell’affermazione, ma nella sospensione, non nel centro, ma nel margine.
Questa nuova Risonanza è quindi un invito a guardare il mondo con occhi diversi, a lasciarsi coinvolgere da opere che non si impongono ma suggeriscono, che non spiegano ma evocano. Un percorso tra luce e ombra, tra visibile e invisibile, dove l’opera diventa soglia, passaggio, visione.
LE MOSTRE
Figurano in mostra opere e documenti che hanno segnato la storia dell’arte e della scienza dal Seicento a oggi.
Il percorso espositivo si apre con una sezione dedicata al rapporto tra arte e scienza: dal celebre Sidereus Nuncius di Galileo Galilei alle visioni astronomiche di Maria Clara Eimmart, in dialogo con opere di Johann Carl Loth, Giuseppe Antonio Petrini, Pietro Ricchi e Antonio Canova.
Ampio spazio è dedicato all’Ottocento, con le vedute notturne di Giuseppe Pietro Bagetti e Giovanni Battista De Gubernatis, dove l’indagine topografica si intreccia con le prime suggestioni romantiche.
Le ricerche italiane si sviluppano attraverso il simbolismo dei dipinti di Alberto Martini, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Felice Casorati in dialogo con le sculture di concentrazione estatica di Arturo Martini. Una sala è dedicata al rapporto tra le figure oniriche di Osvaldo Licini con l’immaginazione astratta di Fausto Melotti.
Si darà inoltre rappresentazione dell’interesse per le atmosfere notturne nella pittura del secondo Novecento, attraverso le opere di Sergio Romiti e Titina Maselli.
Una sala presenterà il dialogo tra le opere cosmiche di Wenzel Hablik e Giulio Paolini, accompagnato dalle forze di propagazione futurista di Giacomo Balla e Luigi Russolo.
Nella parte finale del percorso espositivo, troveranno spazio rilevanti opere di artisti che guardano alla volta stellata come Michelangelo Pistoletto, Vija Celmins e Thomas Ruff, mentre forme fantasmatiche e mnestiche compaiono sulle superfici dipinte di Gino De Dominicis, Merlin James e David Schutter.
La prima mostra antologica in un’istituzione italiana dedicata a Linda Fregni Nagler (Stoccolma, 1976) è a cura di Cecilia Canziani.
L’artista utilizza il mezzo fotografico intrecciando ricerca, collezionismo e un’indagine profonda sulla materialità dell’immagine.
La mostra, costruita intorno a opere realizzate nel corso di oltre vent’anni, riunisce cicli differenti in un unico racconto, mettendo in dialogo opere distanti nel tempo ma capaci di restituire, attraverso la materialità della fotografia, un affresco poetico sul XX secolo: una lunga notte rischiarata da brevi lampi di incanto e bellezza che ci accompagna fino al nostro tempo.
Attorno a questo nucleo, il percorso espositivo si snoda attraverso altre, tra cui Pour commander à l’air (Premio MAXXI 2014), ingrandimenti di fotografie tratte dalla cronaca che liberate dal testo e dal contesto diventano materia risignificabile, mettendo in discussione il valore narrativo delle immagini documentarie. Il rapporto ambiguo con la modernità è presente nella serie on going Untitled, stampe fotografiche realizzate a partire da disegni che riproducono originali fotografici di oggetti legati al mondo del lavoro o architetture misteriose di cui non conosciamo più l’uso, e nella serie di stampe Smokes, clouds, explosions tratte dalla collezione di lastre per lanterna magica dell’artista che costituisce la base della performance Things that Death Cannot Destroy.
Inoltre in mostra la serie Non voglio uccidere nessuno, un lavoro degli esordi che sembra aver anticipato alcuni dei temi e delle riflessioni approfondite in questa antologica, Playground, e la serie inedita Little History of Subjugation, che indaga l’ambiguità della relazione tra umano e animale, solo apparentemente pacificata, e un’opera realizzata in collaborazione con il fisico Michael Doser: una lastra di vetro emulsionata a mano con gelatina ai sali d’argento – secondo la ricetta di Hercule Florence, pioniere della fotografia – esposta a un flusso di antiprotoni, che attraverso il corpo della fotografia testimonia l’esistenza dell’antimateria.
Di Maggio, sin dai primi anni di attività, ha prestato la massima attenzione agli aspetti materiali dell’opera e alla manualità del fare artistico. I suoi lavori incantano chi li osserva: sono pareti di carta velina di dimensioni ambientali finemente incise a mano, saponi di Marsiglia scavati con il bisturi a formare mappe di grandi agglomerati urbani, mosaici di vetro e micromosaici di cera che si posano su fragili e aerei supporti, porcellane sottili come fogli di carta, elementi vegetali in equilibrio, la cui struttura è fatta emergere con un fine lavoro di intaglio, sovrapposizioni regolari di francobolli che creano mandala ipnotici.
La mostra si articola in sei stanze, in un viaggio, pensato dall’artista e dai curatori, le cui tappe mostrano la coerenza dei cicli di produzione, intimamente connessi gli uni agli altri. Odori e rumori accompagnano il pubblico nelle sale, rendendo l’esperienza di visita un’immersione di carattere sinestetico.
Il viaggio ha inizio e fine con due opere distanti per cronologia. L’una è Annunciazione del 2025, due ali di libellula ingigantite in rame ossidato, allegorico augurio per ogni nuovo itinerario da compiersi. L’altra è Desiderale, opera video del 2006, in cui il lento intaglio della coda di una pellicola 35 mm ha generato lo scintillio di un cielo stellato, simbolo di quella tensione che lega, anche etimologicamente, l’atto del desiderare con il tempo e lo spazio siderei.
La mostra dedicata a Elisabetta Di Maggio è anche l’occasione per presentare le opere Parigi, 2008. Città del Messico, 2008, Fez, 2015, acquisite grazie ai fondi messi a disposizione dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, attraverso l’avviso pubblico PAC 2025 – Piano per l’Arte Contemporanea. La vittoria della GAM, per il quinto anno consecutivo, ha permesso di acquisire per le proprie collezioni questi tre importanti lavori, mappe di città finemente incise su saponi di Marsiglia, che costituisco una tappa fondamentale nel percorso creativo dell’artista.
Il percorso espositivo rende omaggio a Baumgarten concentrandosi in particolare sulla dimensione fotografica della sua ricerca con un arco cronologico che va dalla fine degli anni Sessanta fino ai suoi ultimi lavori. La serie Culture–Nature (1968–1972) documenta un insieme di sculture effimere, realizzate e abbandonate in ambienti naturali, in dialogo diretto con il paesaggio che l’artista ricrea all’aperto: nel suo giardino, nei parchi o nelle periferie urbane di Düsseldorf.
Un esempio di scultura effimera è Arché, che trova spazio all’inizio della mostra. L’installazione, ricoperta di piume di pappagallo Ara, rappresenta uno Shapono, struttura abitativa tradizionale degli Yãnomãmɨ, gruppo indigeno che abita le foreste pluviali dell’Amazzonia. Questi primi lavori rappresentano la fascinazione dell’artista per quella cultura autoctona, prima del suo viaggio in Venezuela.
Completa la mostra un suo film, Señores Naturales Yãnomãmɨ (1979 - 2018) che documenta, in sei capitoli, il suo viaggio in Venezuela, nella zona compresa tra i bacini dei fiumi Orinoco e Rio delle Amazzoni, dove vive insieme agli Yãnomãmɨ.
L’artista invitato a ricoprire il ruolo di Intruso per questa TERZA RISONANZA è Davide Sgambaro .
Negli spazi interni della GAM, Sgambaro presenterà due opere: la prima in un’area di passaggio al primo piano, mentre l’altra occuperà la Sala del Riposo al secondo piano.
Inoltre, durante la serata di inaugurazione il 28 ottobre, con replica il 28 novembre, Davide Sgambaro proporrà una performance negli spazi esterni, coinvolgendo la particolare architettura del museo.
GAM – GALLERIA CIVICA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
29 ottobre 2025 - 1 marzo 2026
Via
Magenta, 31 - 10128 Torino
Orari di apertura: martedì -
domenica: 10:00 – 18:00.
Chiuso il lunedì. La biglietteria
chiude un’ora prima.








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