Dal 21 marzo 2019 al 30 giugno il MAO Museo d'Arte Orientale presenta la mostra SAFAR: VIAGGIO IN MEDIO ORIENTE, VITE APPESE A UN FILO. Fotografie di Farian Sabahi.
In esposizione una sessantina di scatti realizzati in Libano, Siria, Iraq, Iran, Emirati Arabi, Azerbaigian, Uzbekistan e Yemen tra il febbraio 1998 e la primavera 2005 ed esposti per la prima volta. In persiano e in arabo, Safar vuole dire viaggio. La mostra infatti racconta i viaggi di Farian Sabahi, le Terre e le persone ritratte e al contempo esorta il visitatore a compiere un viaggio, doppio, geografico ed emotivo. Così i versi del poeta di lingua persiana Rumi, ricamati dalla giovane artista Ivana Sfredda accolgono il visitatore, versi volti ad evocare l'importanza del viaggio e dell'apertura alle culture altre nel processo di crescita personale.
non penerebbe segato, né soffrirebbe ferite d'accetta
E se il sole non viaggiasse con piedi e ali ogni notte
come potrebbe illuminarsi il mondo all'aurora?
Anche se tu non hai piedi, scegli di viaggiare in te stesso,
come miniera di rubini sii aperto all'influsso dei raggi del sole.
Rumi, XIII secolo.
La giornalista
e studiosa Farian Sabahi ci restituisce un mondo visto e immortalato poco prima
e immediatamente dopo che in alcuni di questi Paesi iniziassero terribili i
conflitti, un mondo stravolto anche dove la guerra non si è combattuta, dove
però permangono le cicatrici dei vecchi conflitti o dove il progresso si
contrappone forte e arrogante agli aspetti più tradizionali del vivere
quotidiano.
Alberto Negri nella prefazione del catalogo scrive: “Nulla di tutto quello che vediamo in questi
scatti ci è estraneo. È un mondo diverso, ma non così esotico. Abbiamo
contribuito pesantemente alla sua distruzione. È difficile raccontare cosa
volesse dire vivere in Iraq o Siria in questi anni, sotto i bombardamenti,
asserragliati senza mai potere uscire. La morte arrivava dall’alto con i raid
aerei o i missili, oppure in maniera silenziosa sulla lama di un coltello. E
molti dei monumenti, dei muri, delle case, dei volti delle persone che qui sono
ritratti non ci sono più. Perduti per sempre. Ecco perché l’immagine, anche la
più innocente, come il sorriso di un bambino, non è semplicemente un ricordo ma
un atto d’accusa”.Caratteristica l’installazione site specific, un cubo nero che diventa uno spazio atemporale in cui le fotografie si alternano come i ricordi di vecchi viaggi, dove è difficile distinguere un prima da un poi. Le fotografie, realizzate originariamente in diapo 100 ASA Fuji sensi a colori e stampate per la mostra su carta museale opaca, sono presentate senza cornici, senza stretti confini, ma appese a un filo da pesca per tonni ad evocare la precarietà della vita in Medio Oriente, appesa appunto a un filo. Il filo da pesca evoca anche la morte, le vite appese, imprigionate e poi negate, come dice Farian Sabahi “il filo da pesca ricorda il Mediterraneo e le tante vittime di questi anni”.
Corredo alle
immagini sono i passaporti italiano e iraniano con i visti per quei Paesi, la
macchina fotografica Nikon e gli obiettivi usati, il registratore. E ancora le
pagine dei quotidiani dell'epoca, tra cui gli articoli e i reportage su IlSole24Ore
firmati da Farian Sabahi, fissate come in una bacheca.
Voci in varie lingue accompagnano il visitatore: sono dello scrittore turco e Nobel per la Lettaratura Orhan Pamuk, di Padre Paolo dell’Oglio, del poeta siriano Adonis, di un pescatore sul Tigri, dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein, di un omosessuale a Dubai, dell’ex presidente iraniano Muhammad Khatami, dell’architetto Darab Diba, del filosofo Dariush Shayegan, dell’avvocata e attivista pachistana Bilqis Tahira, dello storico azerbaigiano AltayGeyushev, dell’artista e gallerista azerbaigiana Aida Mahmudova, di Pierpaolo Pasolini, dell’attivista yemenita insignita del Nobel per la Pace Tawakkol Karman, della scrittrice iraniana Azar Nafisi.
A congedare il visitatore ancora i versi di Rumi nei quali il viaggio è un'esperienza che porta alla conoscenza e, nel nostro caso, al rifiuto del dualismo tra Occidente e Oriente, a decidere di non dichiararsi appartenenti a un mondo o all'altro.
Io non sono dell'Est né dell'Ovest.
Ho riposto la dualità
e visto i due mondi come uno.
e visto i due mondi come uno.
INAUGURAZIONE mercoledì 20 marzo 2019, ore 18
A seguire intervento musicale dell’artista
iraniana Yalda e brindisi: un’occasione per celebrare
insieme Nowruz, il capodanno persiano.
Farian Sabahi (1967) - Giornalista professionista specializzata sul Medio Oriente, scrive per Il Corriere della Sera, il settimanale Io Donna e il manifesto. È lecturer in Political Science and Religion alla John Cabot University di Roma, dove insegnaHistory and Politics of Modern Iran eIntroduction to Islam.È anche titolare del seminario “Relazioni internazionali del Medio Oriente” presso l'Università della Valle d'Aosta. Il bazar e la moschea. Storia dell'Iran 1890-2018 (Bruno Mondadori 2019) è il suo ultimo libro. Nel memoirNon legare il cuore. La mia storia persiana tra due paesi e tre religioni racconta le sue vicende e quelle di famiglia (Solferino 2018). Tra gli altri suoi volumi: Un'estate a Teheran (Laterza), Islam. L'identità inquieta dell'Europa (Saggiatore) e Storia dello Yemen (Bruno Mondadori). Noi donne di Teheran (disponibile anche in francese e in inglese) e il libro-intervista Il mio esilio con l'avvocato iraniana ShirinEbadi insignita del Nobel per la pace sono pubblicati da Jouvence. Nel 2018 il MAO Museo d'Arte Orientale di Torino, il Mudec Museo delle Culture di Milano, il festival Sguardi Altrove e la Comunità Ebraica di Casale Monferrato hanno ospitato il cortometraggio I bambini di Teheran. Nel 2010 è stata insignita del Premio Amalfi sezione Mediterraneo, nel 2011 ha ricevuto il Premio Torino Libera intitolato a Valdo Fusi, e nel 2016 il Premio giornalistico “Con gli occhi di una donna”. www.fariansabahi.com
In occasione della mostra, Farian Sabahi terrà al MAO un ciclo di tre
lezioni sulla letteratura mediorientale; ogni incontro è dedicato ad una
autrice e per ognuna si farà riferimento a uno o due testi in particolare che
il pubblico può trovare presso il bookshop del Museo.
23 marzo ore 11: Vénus Khoury-Ghata, Libano
“La casa era
sull'orlo di una strada come sull'orlo del pianto, i vetri sul punto di
scoppiare in singhiozzi”. Da questa epigrafe all'inizio del romanzo il lettore
è introdotto in un'atmosfera di dolorose esperienze familiari nella città di
Beirut. Qui trovano radici le inquietudini di una famiglia sconvolta dalle
intransigenze del padre che, vittima del proprio passato, infierisce sul figlio
maggiore, nel cui tormento sembra confluire tutto il male di vivere della casa.
La sorella, voce narrante e voce del dialogo con il fratello poeta ormai
rifugiato nella follia, ripercorre la storia dell'infanzia e della prima
giovinezza fino al 1975, data che segna l'inizio della guerra civile. Una voce
femminile, in grado di rendersi libera.
L'autrice: Vénus Khoury-Ghata è nata nel 1936 in Libano, dove ha
trascorso la prima giovinezza studiando e iniziando la carriera giornalista la
carriera giornalistica a Beirut. Sposa a vent'anni di un libanese, madre di tre
figli, vive a Beirut fino 1973, quando si trasferisce a Parigi per un nuovo
amore (un medico e ricercatore francese), una figlia, una nuova vita. Altre
perdite, altre esperienze segnano la sua vita, ma sempre resta costante
l'attività letteraria.
I libri:
Vénus Khoury-Ghata, La casa sull'orlo del pianto, Il leone verde,
Torino, 2005 (traduzione di Gabriella Messi).
Vénus Khoury-Ghata, La casa delle ortiche, Il leone verde, Torino,
2006 (traduzione di Gabriella Messi).
30 marzo ore 11: Inaam Kachachi, Iraq
“Una casa non è solo
muri, un tetto, un giardino e un terrazzo ma, piuttosto, un senso. Un senso che
racchiude in sé svariati significati. Le residenze si moltiplicano, la casa
resta una, ed è l', in Iraq”. Così scrive l'autrice di Dispersi, un romanzo di
cui è protagonista la giovane ginecologa Wardiya Iskandar. Dopo la laurea a
Baghdad, viene destinata a Diwaniya, una cittadina a sud dell'Iraq. Ed è
nostalgia il sentimento che le brucia dentro, lontana da casa e dai famigliari.
Ed è quello stesso sentimento che le si agiterà dentro quando sarà costretta a
lasciare l'Iraq.
L'autrice: Inaam Kachachi è nata nel 1952 a Baghdad. È scrittrice,
giornalista e corrispondente per molti giornali arabi. Vive a Parigi dal 1979,
dove ha ottenuto un dottorato in Storia del giornalismo alla Sorbona. Con
Disperi ha vinto il Prix de la Littérature Arabe 2016 ed è entrata nella
shortlist dell'International Prize for Arabic Fiction 2014, il più importante
premio letterario del mondo arabo.
Il libro:
Inaam Kachachi, Dispersi, Francesco Brioschi Editore, Milano, 2018
(traduzione di Elisabetta Bartuli).
6 aprile ore 11: Nasim Marashi, Iran
Vivere a Teheran oggi, con i problemi, i timori e le inquietudini che
segnano il passaggio all'età adulta in un Paese dai contrasti ancora forti. Tre
giovani donne che affrontano il futuro, lacerata dal dramma di non essere più
come le madri e ancora molto lontane dalla vita delle figlie che le seguiranno.
È questo il tema del romanzo di cui sono protagoniste tre giovani donne, la cui
amicizia è nata nelle aule della facoltà di ingegneria dell'Università di
Teheran. Sulla soglia dei trent'anni, si confrontano sulle scelte importanti
dalle quali dipenderà il loro destino futuro.
L'autrice: giornalista e sceneggiatrice, Nasim Marashi vive a
Teheran dove è nata nel 1984. Autrice di vari racconti, premiati a più riprese,
e di fortunate sceneggiature cinematografiche, ha pubblicato nel 2015 il suo
primo romanzo, L'autunno è l'ultima stagione dell'anno, premiato come
miglior libro dell'anno con l'assegnazione del premio letterario Jalal Al-e
Ahmad.
Il libro:
Nasim Marashi, L'autunno è l'ultima stagione dell'anno, Ponte33,
Roma, 2017 (traduzione di Parisa Nazari).
MAO Museo d’Arte Orientale
Via San Domenico 11
L’ingresso in mostra rientra nel biglietto del Museo.
Ciclo 3 appuntamenti letterari € 20, fino esaurimento
posti disponibili.


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