Al
Teatro
Astra
dal 9 al 14 dicembre 2025 va in scena La
città dei vivi,
lo spettacolo di Ivonne Capece liberamente ispirato al best seller di
Nicola Lagioia.
Un
delitto assurdo e brutale, un caso di cronaca nera tra i più
disturbanti degli ultimi anni diventa dunque materia teatrale: due
giovani insospettabili torturano e uccidono un coetaneo senza un
motivo apparente. Da questo fatto realmente accaduto, Nicola Lagioia
costruisce un’inchiesta narrativa che scava nel buio delle
coscienze, mettendo in discussione il confine tra colpa e normalità,
tra mostruosità e quotidiano.

Lo
spettacolo La
città dei vivi
porta in scena la discesa in un inferno morale che appartiene non
solo ai protagonisti, ma a un’intera società. Roma diventa un
personaggio: viva, tentacolare, oscura, capace di attirare e
inghiottire. Una città che pulsa di desideri, illusioni, fallimenti.
I personaggi si muovono dentro una spirale di fascinazione e
repulsione attraverso una drammaturgia tagliente e un linguaggio che
mescola racconto e confessione, il pubblico è chiamato a guardare
dove normalmente si distoglie lo sguardo. L’opera non mira ad
informare né a fornire verità, ma a stimolare una riflessione
artistica e umana. In nessun caso la rappresentazione va intesa come
accusa, insinuazione o giudizio reale nei confronti di soggetti
eventualmente riconoscibili. Ogni elemento narrativo mira a
manipolare la vicenda specifica per raccontare una storia universale,
proposta in chiave poetica, simbolica e provocatoria.
NOTE
DI REGIA
Lo
spettacolo non è un true crime, ma, al contrario, ne rappresenta
l’antitesi. Ho scelto di non concentrarmi sui dettagli del caso di
cronaca — pur centrali nel libro — per indagare invece gli
aspetti più universali ed esistenziali che emergono dalla trama. Nel
suo romanzo, Nicola Lagioia pone al centro non solo la vicenda, ma
anche la città di Roma, che diventa una grande metafora
dell’umanità.

Anche
per questo, in scena non vengono mai pronunciati nomi propri: i
personaggi assumono il valore di archetipi, figure che incarnano
diverse sfumature della condizione umana. C’è il mistero della
violenza, quel paradosso intrinseco all’essere umano, capace di
scolpire il Mosè di Michelangelo ma anche di distruggerlo a
martellate, riducendolo in polvere da sniffare. È il contrasto fra
la grandezza creativa e la brutalità distruttiva dell’uomo, un
dualismo ineludibile che percorre l’intera messinscena. C’è poi
chi invece osserva la violenza dall’esterno: il testimone,
l’artista, colui che tenta di rappresentarla. Qui si apre il tema
della responsabilità dell’arte e dell’artista di fronte al male.
Il protagonista simbolico dello spettacolo è infatti lo
scrittore-artista, alter ego di Lagioia, interpretato da Sergio
Leone: una figura che incarna la tensione tra la necessità di
indagare la violenza e la crisi morale di chi, attraverso la cultura,
prova a darne forma. In scena, gli attori dal vivo convivono con un
universo multimediale di figure semi-olografiche, proiettate a
grandezza naturale, che contribuiscono a creare un’atmosfera
spettrale e onirica. L’uso delle tecnologie sonore e visive diventa
così una vera e propria cifra espressiva: la multimedialità
rappresenta il mondo esterno, quello dei social, dei giornali, degli
amici e dei conoscenti. È la violenza collettiva della società che
irrompe nel privato doloroso dei protagonisti, un privato ormai
inevitabilmente pubblico. L’atmosfera è claustrofobica, ma non
solo sul piano fisico: il vero spazio della rappresentazione è
mentale e onirico. Ciò che attraversiamo in scena sono le
inquietudini interiori dello scrittore, il suo viaggio nella mente
mentre tenta di dare forma al caos. L’appartamento in cui ci
troviamo è la stanza dell’artista, ma anche il cuore della vicenda
reale: un microcosmo privato che, dopo il crimine, è stato invaso
dal mondo intero. Roma diventa così contenitore e generatore di
violenza, specchio del sistema umano.

Lo
spettacolo, come accade nel romanzo, si apre con una traduzione
visiva dell’incipit, dove Lagioia cita Andreotti: non attribuiamo i
guai di Roma agli eccessi di popolazione, quando i romani erano
soltanto due, uno uccise l'altro.
Ho
restituito questa frase con l’immagine mitica dell’allattamento
di Romolo e Remo: qui però i due “criminali” sono nutriti da una
lupa maschio — immagine che evoca il ciclo della violenza che
genera violenza, il sistema patriarcale in cui la brutalità si
tramanda di padre in figlio. Infine, è centrale l’assenza del
femminile, tema già presente nel romanzo e ulteriormente amplificato
dalla regia: un’assenza che diventa eco silenziosa, ferita e
mancanza, dentro un mondo dominato dalla voce maschile del potere e
della violenza.
TRIENNIO
2025/28: PERSONE
STAGIONE
TPE 2025/26: MOSTRI
La
città dei vivi
9
- 14 dicembre 2025
durata
120 min
mar
h 21 | mer h 19 | gio h 20 | ven h 21 | sab h 19 | dom h 17
TPE
Teatro Astra
liberamente
tratto dal romanzo di Nicola Lagioia
regia,
video e adattamento drammaturgico Ivonne Capece
prodotto
da Elsinor Centro di Produzione Teatrale, TPE Teatro Piemonte Europa,
Teatri di Bari,
Fondazione
Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro di Sardegna
PROGRAMMA
COMPLETO DELLA STAGIONE TPE 2025/26 SU TPETEATROASTRA.IT
Info
e abbonamenti disponibili su tpeteatroastra.it e in biglietteria.
TPE
Teatro Astra
Via
Rosolino Pilo 6, Torino
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